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Sirente online - Contenuti

Il contenuto di queste pagine nasce dall'esigenza di sistematizzazione della documentazione raccolta con grande pazienza e passione nel corso degli anni, seppure con grande difficoltà, vista la tendenza in passato da parte di alpinisti e di quanti hanno frequentato la montagna appenninica a non lasciare traccia di documentazione scritta della loro attività. Mi è doveroso pertanto ringraziare quanti, con il loro apporto, hanno contribuito all’arricchimento di un prezioso archivio, che è prima di tutto testimonianza storica di un'attività certamente lodevole e di un rapporto intenso tra l’Uomo e la Montagna. Un ringraziamento particolare a Vincenzo Abbate, grande conoscitore delle montagne e della storia dell'alpinismo in Appennino centrale, che con la sua contagiosa passione per la ricerca e la documentazione, tanti anni fa mi trasmetteva quell'impulso in embrione che mi avrebbe portato a dedicare a questa meravigliosa montagna gli anni più belli della mia modestissima attività alpinistica, in un coinvolgente ed entusiasmante gioco di esplorazione.

 

Io credo che con questo "strumento" sia possibile, almeno in parte, colmare una lacuna dal punto di vista storico e divulgativo che dura da troppo tempo. La montagna del Sirente, ricompresa nel Parco Naturale Regionale Sirente-Velino, seppur analizzata negli ultimi anni da una serie di pubblicazioni di carattere escursionistico e scialpinistico, non ha mai sortito attenzione per quanto riguarda storia e tradizioni alpinistiche, neanche nei canali ufficiali che hanno l’encomiabile intento di raccogliere la documentazione sull'intera montagna italiana. Scarne, insufficienti e vaghe informazioni sono state in passato riportate nel volume dedicato all’Appennino centrale della Guida ai Monti d’Italia edito dal CAI/Touring Club datato 1955,  oggi decisamente vetusto e introvabile. L’aggiornamento pubblicato nel 1989, quale Volume 1 sull’Appennino Centrale, tra le altre cose non contempla i massicci montuosi del Monte Velino e del Monte Sirente, appunto. Più in particolare, il preventivato volume 2 dell’opera non ha mai visto la luce. Se si eccettuano, pertanto, le informazioni contenute in articoli pubblicati nel corso degli anni su alcune riviste di settore e quelle contenute nei libri a firma di Vincenzo Abbate (Appennino d’Inverno), di Cristiano Iurisci (Ghiaccio d’Appennino) e di chi srcive (L'attimo di quiete tra una folata di vento e un'altra), limitatamente alla storia e agli itinerari alpinistici di carattere invernale, tutto ciò che ha caratterizzato da qualche decennio l'alpinismo in zona è sempre risultato alquanto fumoso o conosciuto in giro solo per "sentito dire".

 

Nel lavorare per tanti mesi a un progetto di stesura di una guida alpinistica sulle montagne del Sirente e del Velino, mi sono posto la domanda dell’utilità o meno di una guida alpinistica di tipo classico, pubblicata cioè su carta stampata, in un’epoca in cui l’alpinismo al contrario è entrato di prepotenza nel mondo del web, affidando alla realtà virtuale, sorta di mondo parallelo, il ruolo di cassa di risonanza di ogni pregio e difetto di di ogni situazione e di tutte le figure che ruotano intorno al panorama montagna. Nel fare questo, mi sono anche chiesto quale siano ancora oggi le identità e il significato di Alpinismo.

 

Intanto, se è vero che oggi nessun argomento può eludere una ricerca su internet alla portata di tutti, raccogliendo in poco tempo e comodamente informazioni che fino a pochi anni fa presupponeva una non facile ricerca e un dispendio non indifferente di tempo, il contenuto di queste pagine, essendo in gran parte inedito, dovrebbe già di per se trovare un riscontro positivo. Realizzare su internet una guida alpinistica sul Monte Sirente, a torto relegato nell’ombra, credo sia pertanto già un agire controtendenza e rappresenti un elemento positivo tanto quanto la realizzazione di una guida pubblicata attraverso i canali classici dell’editoria

 

Oggi, che con il contributo di un numero inimmaginabile di persone che gravitano intorno al mondo della montagna, è possibile reperire informazioni di ogni tipo anche su angoli poco accessibili del pianeta, si tratta non solo di riscoprire ciò che può ancora legare in modo spontaneo l’uomo alla montagna, ma recuperare quei concetti e quegli atteggiamenti che possono riavvicinare i fruitori dell’ambiente montano a un corretto approccio con l’alpinismo e ogni altra pratica svolta in montagna. Se oggi possiamo fare a meno di qualsiasi ragionamento e regola di pianificazione nelle nostre attività, per la ridondanza dei mezzi tecnologici che fagocitano il nostro quotidiano, che possiamo affidare le nostre sempre più assopite capacità intellettuali alla calcolatrice, al computer, al telefonino, al palmare, al navigatore, al GPS, all’I_Phone, al tablet, all’I-Pad e via discorrendo, il nostro andare in montagna spesso acquista il sapore di un’avventura preconfezionata; un’attività che prima ancora di essere compiuta si perde dietro aspetti a volte futili e marginali che riconducono a ciò che sembra oggi essere l'assillo dei nostri tempi: l'apparire, aspetto grandemente caratterizzante del nostro tempo, in tutte le sue più sottili sfumature e implicazioni psicologiche, tra ridondanza di immagini ed esigenza distorta di confrontarsi in forum e social network, spesse volte elogio della banalità ed assenza di spessore culturale. 

 

La verità è che ogni nostra azione ha sempre più una motivazione dettata dall’ansia dell'apparire, dove i concetti di "immagine" e "spettacolo" cancellano ogni più genuina emozione della ricerca, della scoperta, dell’appagamento interiore. Se il nostro procedere deve dipendere da una fantomatica fotografia che possa come d’incanto illuminarci sulle difficoltà di un itinerario e svelarci ogni elemento imponderabile, se la nostra determinazione viene meno nell’attesa spasmodica del giorno, dell’ora e delle condizioni perfette, se ogni nostra decisione nell’agire può essere affidata al guru del momento o ad un imbonitore che possa mostrarci ogni segreto della via da percorrere, così da navigare in acque tranquille, il nostro alpinismo avrà perso ogni sapore di avventura. Tanto di cappello allora, per chi soltanto cinquant’anni fa affrontava ogni cosa in condizioni che oggi considereremmo come del tutto inadeguate, con un pantalone di velluto, un maglione sbrindellato in lana e una bustina di cordiale come il massimo della concessione al comfort. Mi torna alla mente una bella fotografia in bianco e nero di Gary Hemming, che lo ritrae all'epoca di un rocambolesco salvataggio sui Dru; "un Bruce Chatwin dell’alpinismo" lo ha definito Mirella Tenderini nella sua biografia. Sicuramente non ce ne sono più di figure del genere in giro, o forse sono sconosciute ai più, per la loro estrema ritrosia a qualsiasi forma di apparizione e spettacolo.

 

Se è vero che il valore più schietto di una via alpinistica è pari alle emozioni che può suscitare, molte vie esplorative di modesta difficoltà presentate in queste pagine, vogliono contribuire a riscoprire il concetto per cui una via bella è soprattutto quella che in montagna ti lascia il tempo di respirare, di guardarti intorno, di sentire il profumo del timo selvatico, di avvertire la grandezza sacrale del silenzio, di vedere la luce che cambia pian piano, di tornare a valle con la voglia di gozzovigliare a sera davanti a un bicchiere di vino.

 

Forse l’identità dell’alpinismo và ancora ricercata nel sognare la propria via, nel desiderarla nell’attesa, senza stancarsi di provare e riprovare, di accettare la sconfitta se occorre, e tornare di nuovo -magari dopo anni-, per riprendere la “sfida”. E nel fare questo imparare a conoscere nel frattempo la montagna e la sua storia.

 

 

Giancarlo Guzzardi

 

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