


Già la prima salita storica che si ricordi viene effettuata in inverno, quasi a voler suggellare le caratteristiche della montagna in questa stagione, che saranno tra le più apprezzate successivamente. Così Enrico Abbate ed Edoardo Martinori, accompagnati da Benedetto Petrarca, effettueranno la prima salita invernale il 23 febbraio 1881; quella ufficiale almeno, in quanto l’attività dei locali sui diversi versanti è stata intensa fino alla metà del 1900 e le zone più appartate della montagna erano conosciute e frequentate per la sussistenza delle comunità, da boscaioli, cavatori di ghiaccio, carbonai, cacciatori. Trascorrono 28 anni e una nuova salita, questa volta più tecnica, si svolge lungo un imprecisato itinerario nella zona del Canale Majore: è il 1909 quando E. Gallina ed E. Segre salgono alla vetta massima attraverso un canale con passaggi di II grado nella parte alta del Majore. Silenzio ancora per quasi tre decadi, fino alla lunga e difficoltosa salita di Dario Cavallini ed Enrico Vecchietti a Punta Macerola. In seguito, proprio la conformazione del versante nord della montagna, favorirà lo sviluppo di un’attività alpinistica soprattutto in inverno, regalando a pochi pretendenti un ricco terreno di gioco, la cui preziosità costituisce solo una modesta parte delle potenzialità offerte da un ambiente in cui la progressione su misto, roccia-neve-ghiaccio, è la regola. In questo senso, tenendo conto delle dimensioni della montagna, delle sue caratteristiche morfologiche e climatiche, il Sirente rappresenta nell’Appennino centrale uno tra i luoghi in cui è possibile conoscere e vivere appieno gli aspetti peculiari di un alpinismo che, specialmente in inverno, nulla ha da invidiare a quello da sempre praticato a più alte quote. Secondo i canoni tradizionali dell’alpinismo, chi predilige le salite in questo ambiente complesso e mutevole è sicuramente un “occidentalista”.
Fino agli anni ’70 l’attività alpinistica sul Sirente risente di quel concetto imperante, specialmente in provincia, che vuole l’alpinismo esclusivo appannaggio dell’arco alpino dove, fin dalla sua nascita, questa tradizione non si è mai fermata dall’800 ad oggi. Sono cadute dapprima le vette più celebrate poi i vari versanti delle montagne, per approdare infine alle linee più deboli e logiche delle strutture rocciose. Con il passare degli anni l’uomo ha continuato a misurarsi sempre più con le difficoltà, in un rapporto per metà sportivo e per altri versi intimo e spirituale. Dopo le fessure, i camini, i diedri, le rampe e i canali, sono le pareti aperte a sfidare un’attività che ha continuato a crescere di pari passo alla preparazione atletica e all’evoluzione delle attrezzature. Ma se in Appennino l’attività in taluni luoghi come il Gran Sasso e i Monti Sibillini, a fatica è riuscita in passato a colmare quel divario materiale e concettuale che la separava da quella sulle Alpi occidentali e Dolomiti, lo stesso non può dirsi per quei monti a torto sempre ritenuti “minori”. Luoghi questi, che al massimo venivano considerati come palestra di allenamento per più ambite mete, in un atteggiamento di assoluta timidezza e soggezione in cui l’alpinismo di provincia si è auto relegato. Parlare o, peggio ancora relazionare una salita su questi monti, per anni è stato considerato con sufficienza, se non con ironia. Un complesso di situazioni quindi, che per decenni ha portato ad un affollamento sempre più massificato delle pareti accessibili del Gran Sasso, mentre pochi riservati personaggi fuori tendenza sgroppavano faticosamente per esplorare e risalire pareti perse negli angoli meno frequentati e sconosciuti dell’Appennino.
Dopo estemporanee visite da parte di alcuni alpinisti di spessore come Sandro Graziosi di L’Aquila e Giuliano Mainini di Macerata, che negli anni a cavallo tra il 1969 e il 1971 compiono alcune salite nell’angolo più conosciuto ed accessibile del Sirente (quello tra il Canale Majore e la vetta massima), occorrerà attendere dieci anni per vedere altre cordate dedicarsi a salite più che altro di stampo invernale. Andrea Gulli, i fratelli Bruno e Stefano Tribioli e qualche altro arrampicatore di punta provenienti dalla capitale, nell’intervallo della loro cospicua attività sulle pareti del Gran Sasso, portano a termine alcune belle grande course risalendo i lunghi speroni rocciosi che bordano su entrambi i lati il Canale Majore. La Cresta Nord Est dello Sperone di Mezzo e la Direttissima alla Vetta rimarranno per diversi anni le uniche conosciute del Sirente, fino a diventare classiche discretamente frequentate.
In precedenza, sempre in modo occasionale, due giovani alpinisti, Vittorio Kulckzjcki della SUCAI di Roma e Roberto Franceschetti della Val di Zoldo, avevano toccato con mano le difficoltà tecniche e d’orientamento che il versante nord del Sirente sa opporre, nel tentativo di ripetere la prima via con vere difficoltà alpinistiche che le cronache scritte ricordano: quella aperta da Dario Cavallini ed Enrico Vecchietti nel lontano 1934. Una via che, con grande intuito, risale l’alta bastionata rocciosa di Punta Macerola con difficoltà all’epoca valutate di IV grado. Dal Lazio ancora, arriveranno altre cordate a rimarcare la tradizione di un alpinismo che prende spunto dalla città, per approdare con anni di ritardo nei piccoli centri della provincia abruzzese. Armando Baiocco ed Ettore Pallante, in compagnia di compagni vari, porteranno avanti tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, un’attività esplorativa ancora più estesa e puntuale, che si spingerà a toccare angoli del Sirente mai frequentati in precedenza. In particolare le loro salite si svolgeranno in luoghi davvero appartati, come la Montagna di Canale, la zona della Neviera o la zona dei canali Gemelli. Non più solo la tendenza ad esplorare quindi, ma anche l’intento a disegnare linee di salita e a superarne le difficoltà; nascono così alcune belle vie su roccia come la Via dei Vecchiacci al 3° pilastro dello Sperone centrale della Neviera, l’ardito Spigolo Nord della Pala di Monte di Canale, lo Spigolo Est della Punta Rossa allo Sperone di Mezzo.

Ad interrompere lo snobismo che caratterizza l’ambiente alpinistico abruzzese nei confronti di questa montagna, penserà la cordata marsicana di “Toto” Capassi e Domenico Mancinelli, che con altri compagni daranno vita alla Via dell’Imbuto in un settore assolutamente vergine della parete nord. Ma sarà un evento estemporaneo nella loro pur interessante attività in Appennino. Nuovamente un forte arrampicatore della provincia romana, a metà degli anni ’80, traccerà alcuni itinerari lasciando la propria firma su alcuni settori importanti della parete nord, quelli di Punta Macerola e dello Spalto della “X”. Con grande intuizione Guglielmo Fornari di Palestrina, con Giancarlo Lombardozzi e Cesare Giuliani, aprirà in inverno un nuovo itinerario nel canale in parte risalito dalla via del 1934, quello dove uno splendido arco di roccia fa’ bella mostra di se dando il nome alla via: Diretta all’Arco naturale. Sempre in inverno, la stessa cordata si ripete salendo una bella linea logica in un settore della parete dove due canali diagonali incrociati formano una grande “X”. Essi ne risalgono il Braccio destro, aprendo un itinerario che negli ultimi anni è diventata un’altra classica. L’esplorazione continua e la ricerca di linee logiche che risalgono il versante nord della montagna, viene portata avanti da altre cordate di fuori regione. Ancora tra la fine degli anni ’80 e gli inizi dei ’90 sono Vincenzo Abbate ed i fratelli Manilio e Ignazio Prignano a dare un apporto a quest’attività, mossi da una straordinaria passione per l’Appennino e per luoghi poco conosciuti e solitari.
Nel 1987 i fratelli Prignano salgono uno splendido pilastro di ottima roccia sulla struttura dell’Altare, “Quanto silenzio” è il nome che daranno alla via, un appellativo che riecheggia l’atmosfera in cui si è immersi quando si arrampica su questa montagna. Manilio qualche anno dopo salirà un altro bell’itinerario di cresta nella zona della Neviera, salendone con Stefano Cottarelli lo Sperone Centrale per un itinerario che successivamente prenderà il nome di Via XXV Aprile. Vincenzo Abbate, attivissimo in particolar modo sul massiccio montuoso del Velino, già nel 1977 con la Via dei Tiburtini aveva salito in compagnia di Baiocco e Pallante un bel canale nella zona dei Gemelli e l’anno successivo, sempre con gli stessi compagni, ripete la Via Grazioni/Mainini alla Cima Sud dello Sperone di Mezzo. Tornerà nel 1994 assieme a Massimo Risi per salire un canalino in una zona assolutamente appartata della montagna; la via Sogno di primavera corre parallela allo Spigolo nord della Pala. Nel gennaio del 1988 anche il forte Massimo Marcheggiani, in compagnia di Massimo Risi, non disdegna di salire un itinerario di misto alla Punta Rossa dello Sperone di Mezzo. Il Canalino Nord per la sua accessibilità si rivelerà un itinerario destinato ad essere di tanto in tanto ripetuto e ad avere addirittura una prima discesa con gli sci, portata a termine da Rinaldo Le Donne il 25 aprile 2010. Sicuramente un exploit nel suo genere.


Belle realizzazioni finora, ma frutto di una frequentazione discontinua nell’arco di più di venti anni. Una svolta decisiva all’attività esplorativa portata avanti con una certa continuità ed in qualche modo con puntuale ricerca si avrà all’inizio degli anni ’90, quando alcune cordate che gravitano intorno alla figura di Giancarlo Guzzardi, torneranno a “riconsegnare” la montagna all’alpinismo abruzzese. Egli fa la sua comparsa in zona già nel 1984, in compagnia all’epoca del suo compagno di cordata Paolo Mosca, deceduto un anno più tardi in un fatale incidente di arrampicata. Essi esplorano quella bastionata rocciosa che culmina nella Punta Macerola in una tempestosa giornata di gennaio, quando slavine di neve polverosa spazzano di continuo i tetri colatoi alla base della parete. E’ un’immagine da tregenda quella che si presenta alla loro vista; un labirinto di rocce rese scure dall’assenza di luce e dallo stillicidio di acqua e ghiaccio di fusione, spazzato di continuo da slavine di neve polverosa, ma è una immagine che si imprimerà indelebile nell’animo di entrambi e tornerà successivamente a rodere come un tarlo la mente di Guzzardi. Alcuni itinerari non difficili saliti nella zona del Majore con compagni vari nel 1988: lo Sperone degli Angeli, la Via della Sorpresa, poi l’anno successivo la prima via salita con Enzo Paolini e Luca Balassone a Cima L’Aquila, per un itinerario marginale a sinistra della Punta Rossa. Da questo momento l’esplorazione della montagna, la ripetizione di alcuni itinerari esistenti e i progetti di apertura di vie nuove, assorbiranno completamente la sua attività alpinistica, contribuendo a restituire al Sirente la giusta attenzione. Il sodalizio di Guzzardi con Paolini darà per qualche anno origine ad alcune belle vie e ad una intensa esperienza, umana e alpinistica insieme. Il 19 febbraio del 1995 viene ripetuta in prima invernale la lunga e affilata Cresta nord di Quota 2151, salita da Baiocco e Pallante pochi anni prima. Nel settore della “X” lo stesso inverno aprono la Via degli Irriducibili, superando un evidente camino e una rampa-canale ancora inviolate. Già nell’inverno precedente i due avevano portato a compimento la lunga cavalcata dello Sperone Sinistro della Neviera, rinunciando all’uscita in cresta per il sopraggiungere della notte. La cordata nel buio ripercorre in arrampicata e con alcune doppie l’esatto percorso di salita, con una percorrenza non stop di 15 ore e una temperatura notturna di -14°C. Un’esperienza e una lezione fondamentale che si rivelerà molto utile nel tempo. Sempre nel dicembre del 1993 è la volta dello Sperone Destro ad essere salito per la Via Grande nord.
Cosa importante, in questi anni si assiste ad un puntuale resoconto delle salite, che iniziano ad avere una eco sulle riviste di settore e viene coniata una toponomastica alpinistica della montagna, dando un nome di riferimento alle più importanti strutture ed emergenze rocciose; nascono così i tre speroni della Neviera, il Tempio, i Pilastri del Majore, il Palazzo, lo Sperone di Mezzo, per citare solo i toponimi più conosciuti creati da Guzzardi man mano che procedeva nell'esplorazione dell'area, ed utilizzati successivamente dalle cordate che si sono avvicendate sulla montagna. Mentre la Pala, lo Spalto della X, l'Arco naturale, l'Imbuto esistevano già dai tempi delle scorribande di Armando Baiocco ed Ettore Pallante.

L’anno successivo nascono in successione alcune brevi vie su roccia di media difficoltà: la Diretta all’anticima di Quota 2151 di Monte Canale che Guzzardi sale con Paolini, la Via della Cresta Sud della Pala e la Via Chico Mendes al Pilastro dei Peligni con Giulio Scalzitti. Col sopraggiungere dell’inverno prende corpo un nuovo progetto di salita sull’inviolata struttura dell’Altare, una bella e tozza torre nella zona della Neviera. Il 3 e 13 marzo vengono portati a compimento due tentativi con Paolini e Scalzitti, che si arenano al di sotto dei difficili salti terminali. Si dovrà attendere il marzo del 1996 per il completamento insieme ad Angelo Angelilli, in compagnia del quale Guzzardi effettuerà sulla montagna alcune belle realizzazioni. Angelilli fa la sua comparsa nel 1994 sulla scena del Sirente, realizzando con Gabriele Davide la Via Cumbre al Pilastro nord ovest dell’Altare. Forte arrampicatore su roccia, che di lì a poco trasferirà la sua bravura sulle big wall negli States, egli era all’epoca alle prime armi con il terreno misto e l’ambiente invernale. Salirà con Guzzardi tra il 1995 e il 1998 diverse vie, tra cui la Via dei Nibelunghi al Pilastro Basso del Majore, unico itinerario tuttora esistente su questa struttura, aperto in condizioni ambientali durissime. Effettueranno ancora una ripetizione della classica Via Gulli alla vetta per una interessante variante bassa, la ripetizione integrale della Via Sotto il segno di Orione e la salita in condizioni invernali della Via Graziosi/ Mainini alla Cima Sud dello Sperone di Mezzo. Sempre nella zona del Majore, i due in compagnia di Gabriele Davide salgono Ritorno al Sole, breve e non difficile itinerario che condensa in piccolo il tipo di terreno e l’ambiente delle salite invernali al Sirente. Anche questo si avvierà a diventare un itinerario conosciuto e frequentato. Insieme a Gabriele Davide, i due apriranno ancora la Via dello Spigolo al 2° Pilastro dello Sperone Centrale della Neviera. Il 1996 è l’anno dell’apertura di un’altra bella via nel settore della X, dove Guzzardi in compagnia di Giulio Scalzitti percorrerà un itinerario che collega una serie di incassati canali; nasce così Supercanaleta.


Nel frattempo, sembra che sulla montagna non vi siano altri e diversi pretendenti. Enzo Paolini torna in successione e sale con Manilio Prignano il Pilastro dell’Indio allo Sperone Centrale della Neviera, Vette d’Argento sulla bella struttura del Palazzo ed ancora un’altra via su quest’ultima struttura salita per il pilastro centrale. Si è ormai quasi alla fine degli anni ’90; in questo periodo si assiste anche ad una serie di ripetizioni solitarie di molti itinerari di media difficoltà; attività forse motivata dall’ambiente locale poco ricettivo a livello alpinistico e alla conseguente difficoltà a reperire compagni giustamente motivati per effettuare salite in un ambiente che richiede enormi sacrifici, in termini di complessità tecnica e sfiancanti tentativi. Così di seguito Guzzardi il 4 gennaio del 1996 ripete in solitaria la Via dei Cinque e il 27 febbraio il Braccio Destro nel settore della X, mentre Enzo Paolini il 3 marzo ripete la Cresta Nord di Quota 2151. Ancora il 5 dicembre dello stesso anno Guzzardi apre da solo un breve itinerario sull’Altare, denominato Passaggio segreto per via della sua ubicazione nascosta. Il 23 febbraio 1997 sempre Guzzardi sale integralmente la Via XXV Aprile, seguita il 4 marzo dalla ripetizione integrale della Cresta NE dello Sperone di Mezzo. Lo stesso, il 12 marzo 1995 aveva già ripetuto in solitaria la Diretta all’Arco per la facile variante Baiocco/Pallante. Si è alla fine del 1999, gli stessi Guzzardi e Paolini continueranno i loro trip solitari salendo: Guzzardi la Via Grande Nord il 4 aprile e Paolini Vette d’Argento il 28 novembre. Ad una sola settimana di distanza, quest’ultima via verrà ripetuta in solitaria anche da Guzzardi.
Se si eccettua la salita di Sergey Pustovarov del Canalino a destra del Camino a NE nel febbraio 2000, non si è a conoscenza di salite solitarie effettuate da altri alpinisti, a rimarcare il concetto che non è possibile un approccio a questa montagna se non si è sviluppata con essa un’intima conoscenza e una dimestichezza con l’ambiente, frutto di una costante frequentazione. Quest’attività solitaria culminerà per Guzzardi con l’apertura di Antartica, via non banale sulla bastionata di Punta Macerola, salita il 28 febbraio 2003. Certamente, si è trattato del coronamento di una lunga e intensa attività e, senza dubbio, di un momento di grazia nella determinazione interiore a superarne le difficoltà. Anche in questo caso, l’itinerario è stato salito dopo innumerevoli tentativi precedenti. Si chiude così uno scorcio di secolo ed insieme ad esso un periodo della storia alpinistica al Monte Sirente. E’ evidente la fine di una fase in cui l’attività si è trasformata strada facendo; non più o non solo esplorazione, ma ricerca sistematica e ideazione di vie nuove in tutti i settori della montagna.


Nel numero novembre/dicembre 1998 della “Rivista” del Club Alpino Italiano, esce un breve ma esaustivo articolo a firma dello stesso Guzzardi, che ripercorre le tappe della storia alpinistica più recente al Sirente. Tra le altre cose in questo articolo si tracciano quelli che all’epoca risultavano essere i problemi più evidenti da affrontare in un imprecisato futuro e alcune delle strutture ancora inviolate. Quando Cristiano Iurisci, fa la sua comparsa al Sirente nasconde dentro una passione acerba ma tanta determinazione. Egli si guarda intorno e cerca di carpire le prime informazioni su questa montagna su cui è difficile orientarsi e le cui strutture ed itinerari di salita sono di difficile individuazione. Tra il 2004 e il 2005 ripete alcune vie brevi di media difficoltà: una via al Pilastro ovest dell’Altare e il canalino di Ritorno al Sole; quest’ultimo contribuirà a svelargli in scala minore i segreti dell’ambiente invernale su questa montagna. Dopo aver sfatato il timore reverenziale che la parete nord incute al primo approccio, e dopo la ripetizione di alcune tra le vie più conosciute e belle come la Via Gulli, la Diretta all’Imbuto, Antartica, Supercanaleta, la Via dell’Arco naturale, Iurisci si dedica nel corso degli anni a demolire con metodo e perseveranza i problemi che ancora si oppongono all’apertura di più arditi itinerari e ad innalzare il grado delle difficoltà superate sulla montagna. Sono nate così alcune difficili vie, molte delle quali ancora irripetute. Un silenzioso passaggio del testimone; egli stava semplicemente raccogliendo l’eredità di lunghi anni di sacrifici, di faticose sgroppate, di tensione, di snervanti tentativi, di ritirate e a volte di successi, che avevano segnato il percorso di poche altre cordate, mosse dalla stessa concezione di alpinismo, lo stesso piacere sottile per gli ambienti silenziosi ed appartati, in cui la montagna mostra davvero la sua faccia distaccata ed imparziale.
Dopo avere avuto ragione nel 2006 del difficile diedro-camino dell’attacco originario della storica Via Cavallini/Vecchietti, mai ripetuto in inverno, il 2009 è forse l’anno più significativo per la sua attività. Con Nicola Carusi sale a distanza di poco tempo la Via Iurisci/Carusi a sinistra del grande Imbuto e la Via Artica, che al centro della parete nord fa da contraltare ad Antartica. Nello stesso inverno, sempre in compagnia di Carusi e Luca Luciani apre la Via Transiberiana, che risale un ampio diedro nel Settore della X, già oggetto di tentativi infruttuosi nel 1997. Nel dicembre dello stesso anno, Iurisci e Massimo Marcheggiani mettono piede per la prima volta nel settore della Neviera e sullo Sperone Sinistro con compagni vari aprono la Via Desertika, una via di misto che in alto si ricongiunge con l’originaria via Sotto il segno di Orione. Di nuovo nel settore della Neviera, sempre nel febbraio 2011 viene ripetuta da Iurisci e Carusi la Via XXV Aprile sullo Sperone centrale, con l’apertura di una difficile variante d’uscita. Questa invernata proficua si chiude con un’altra via salita da Iurisci in compagnia di Ares Tondi, Roberto Berardi e Luigi Ferranti; l’itinerario incrocia e parzialmente segue il percorso di Supercanaleta, per svilupparsi autonomamente nella parte superiore, affrontando impegnative goulotte e colate di ghiaccio. Nel frattempo, il 10 aprile 2010 la cordata Funicelli, Paoloni, Pontecorvo aveva raddrizzato parzialmente l’attacco della Via Antartica con tre difficili lunghezze di corda. Tra una spedizione e l’altra anche Marcheggiani torna nuovamente in zona ed insieme a Lynn Iacobini nel gennaio 2011 sale la Via Touareg, sempre sullo Sperone Sinistro della Neviera. Le buone condizioni di un periodo di freddo intenso e l’alta pressione favoriscono la realizzazione di nuovi progetti. Nel mese di febbraio Guzzardi torna con Alfredo Dionisi a chiudere una partita rimasta in sospeso nel settore dell’Imbuto aprendo la Via Avatar.

Questa a grandi linee le attività salienti, in particolar modo su terreno misto, quello più ostico e così particolare in inverno sulle montagne appenniniche. Ma alcune ardite strutture solleticano ugualmente l’interesse per progetti di salite esclusivamente su roccia. Nell’ottobre del 2011 nasce così Nostalgia del futuro, salita da Iurisci con Stefano Supplizi e Manilio Prignano sulla verticale parete che lo Sperone Sinistro della Neviera affaccia ad ovest, sfruttando una sequenza di diedri e fessure. Siamo ormai ai giorni nostri; nell’estate del 2012 Iurisci calca la roccia più conformata dell’Altare, un torrione isolato che si erge nel bel mezzo dei canaloni che discendono dalla cresta sommitale in prossimità della Neviera. E’ con Supplizi che apre una via al centro della parete rivolta a nord, per ricongiungersi nell’ultimo tiro alla Via Emiliano Zapata. Nell’ottobre del 2012 infine, la notizia di una nuova difficile via aperta sulla tozza ed elegante struttura del Tempio, rimbalza sulle pagine web. E’ una vera e propria chicca quella messa a segno da Iurisci e compagni, che in tre tentativi hanno avuto ragione di un altro dei problemi ancora irrisolti sulla nord del Sirente. Questa volta le difficoltà dell’itinerario sono davvero dure e sostenute. Suoi compagni di cordata sono Domenico Totani, Gabriele Basile e Stefano Supplizi.

Le ultime cronache qui considerate ci rimandano ancora agli echi della stagione bianca, con la seconda ripetizione invernale del percorso integrale della Via Sotto il Segno di Orione da parte di Lorenzo Camosi e Valerio Battisti effettuata nel marzo del 2013. Nel mese di febbraio dell'anno in corso (2014), viene effettuata la prima solitaria della Via dell'Imbuto da parte del bravo Emanuele D'Amico, che percorre una interessante variante d'uscita, senz'altro più impegnativa di quella della via originaria. Nello stesso periodo (9 febbraio) Cristiano Iurisci, in compagnia di Alessandro Verna e Stefano Supplizi, compie la prima ripetizione della Via dei Quattro Moschettieri, mentre il 15 febbraio sale in invernale quella che può considerarsi come la via normale del versante sud alla struttura del Tempio, salita con Alessandro Verna, mentre Erika Tartaglia in loro compagnia raggiunge il colletto del Tempio (Q. 2060). Infine, in aprile torna sulla montagna la cordata Iurisci/Carusi, per una breve ma elegante via nuova sullo Sperone Centrale della Neviera (Via Lost fog).
Ad un anno di distanza e a fine della stagione invernale secondo i canoni alpinistici, il 29 marzo 2015 Emanuele D'Amico torna sulla montagna per dare man forte a Cristiano Iurisci nell'apertura di una nuova via nel settore dell'Imbuto, con un elegante itinerario che vince nella parte bassa alcuni difficili e ripidi colatoi sulla sinistra orografica del Tempio. A rimarcare le pessime condizioni meteo della stagione la via prenderà il nome "Templismo perfetto".
Due nuove vie su roccia vengono aperte a fine estate, precisamente il 30 agosto 2015, sul versante nord ovest dell'Altare da Cristiano Iurisci e Luca Gasparini. La Via della Virgola, itinerario che era stato già oggetto di precedenti tentativi da parte di Iurisci, risale con buona roccia la parete che incombe sulla parte iniziale della rampa-canale della Via Zapata. L'altro itinerario, denominato Via dello Spigolo, segue più o meno fedelmente lo spigolo della struttura e potrebbe coincidere in parte con l'itinerario salito da Manilio Prignano ed altri nell'estate del 1984, di cui però non si hanno informazioni dettagliate. La roccia è ottima, il miglior calcare della montagna.





In questi ultimi anni si assiste a una discreta attività di ripetizione di vie, soprattutto invernali, su alcuni itinerari diventati classici attraverso la loro pubblicizzazione sul web. Al contrario, l'esplorazione e l'apertura di nuove vie sembrano segnare una battuta d'arresto.
Risultano comunque aperte due vie nuove, di cui una molto interessante sul Pilastro Basso del Majore, denominata Via Classica e salita da Cristiano Iurisci e compagnia, l'altra di carattere invernale ed esplorativo nel settore del Gemello Sinistro, Sirenika, salita da Nicola Carusi e Katy D'Errico.

Nel gennaio del 2021 viene aperto un nuovo itinerario sull'Altare della Neviera, da Luca Gasparini e Cristiano Iurisci. Un itinerario breve ma molto impegnativo, con difficoltà complessive dichiarate TD+

Ultimo aggiornamento dicembre 2023
Sirente online - La storia alpinistica
La storia alpinistica del Sirente ha le sue cronache d’annata, uno stillicidio di ascensioni a volte di pregio, nella più pura tradizione di un alpinismo che in passato è stato soprattutto esplorazione. Un vagabondare negli angoli più nascosti della montagna, alla ricerca di linee di salita attraverso creste, speroni e pareti inviolate e lontane dall’affollamento di altri santuari dell’alpinismo appenninico. Un ambiente dove la performance sportiva, le tendenze e la scala delle difficoltà perdono valore, a favore di un appagamento spesso del tutto personale. Un’attività a volte febbrile e in gran parte sconosciuta, da parte di un pugno di cordate avvicendatesi nel tempo.

Il versante nord est, con le sue alte pareti solcate da una miriade di speroni, guglie e colatoi, non può non destare sorpresa nell’occhio dell’osservatore, in un paesaggio dolce e armonioso, fatto di pascoli, pianori e colline boscose. Il desueto appellativo di “Dolomiti d’Abruzzo” è più che giustificato, specie se si osserva questo versante con particolari condizioni di luce e in alcuni periodi dell’anno. Tra le montagne dell’Appennino centrale riveste un posto di pregio tra gli ambienti squisitamente d’aspetto alpinistico. Più modestamente, in passato la montagna ha raccolto le briciole delle attenzioni e delle realizzazioni alpinistiche, con una serie di salite che poco o nulla hanno lasciato alle cronache scritte. Sicuramente questo vuoto è frutto dell’ingombrante presenza del vicino Gran Sasso, ma anche del disinteresse di molti frequentatori a testimoniare e a tramandare eventi e attività alla memoria collettiva. Il resto, è da imputare senza dubbio ad una carenza da parte degli addetti ai lavori, riviste di settore, mass media, associazioni come il Club Alpino Italiano, di quanti insomma ruotano intorno al panorama montagna, che hanno mancato di portare all’attenzione del grande pubblico e ad incentivare un’attività in Appennino sotto molti aspetti preziosa e non banale. Ma l’impulso lanciato da un pugno di salite e da poche cordate nelle ultime decadi, ha in tempi più recenti stuzzicato la curiosità, la passione e l’intraprendenza di più giovani leve dell’alpinismo del centro Italia, in parte in fuga dai luoghi classici dell’arrampicata. La storia di oggi è quella di cordate che hanno ripreso il filo della tradizione di un entusiasmante esplorazione, come un ritorno alle origini, regalando al Sirente il giusto posto che merita nel contesto alpinistico.