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A sinistra del Majore

 

Prologo

Il Sirente è una montagna bellissima. Quando nasce, nel mezzo dell'Altipiano delle Rocche, sembra un colle come tanti, ma poi il suo crinale, invece di scendere dall'altra parte, continua a crescere e salire senza posa, disegnando una enorme mole allungata che si protende verso sud-est per chilometri.

 

Ai piedi del ripido e verdissimo fianco nord-est si adagia una serie di stupendi pianori carsici: i Prati del Sirente. Tra questi e le pareti che sorreggono la cresta si distende un'ampia e rigogliosa faggeta che con morbide ondulazioni fascia tutta la montagna. Al contrario il versante sud-ovest digrada nudo verso la Marsica.

 

Tutto il Sirente è attraente, in ogni stagione, ma la Neviera e il Canale hanno un fascino tutto loro.

 

C'è al Sirente la Pala di Monte Canale

Lontano, ai margini della montagna, dove le rocce si diradano e i ghiaioni scorrono larghi e tranquilli, spicca limpida l'elegante linea della sua cresta. Chiara ti ammicca tra le fronde, quando riemergi dalle profondità della faggeta. La guardi e ne ammiri lo slancio. Lo sai, è un cristallo in frantumi, una delicata costruzione del tempo incapace di sostenere il peso di un uomo, eppure vorresti toccarla. Così scivoli lungo l'orlo del bosco fin dove il lenzuolo verde lambisce la pietra. Ecco, basterebbe allungare la mano, ma... meglio non sfiorarla nemmeno, già è tanto che tolleri il raggio degli occhi vicini. È fragile ora come l'ultima volta che inseguendo sogni di grandi avventure avevi ceduto alla sua inconsapevole malia.

Stai per andartene quando qualcosa ti spinge a voltarti: dalle mille facce del cristallo mille occhi ti fissano - torna, se diventi più leggero - sussurra la Pala.

 

Re Torrione della Neviera

C'era una volta, nelle terre di Canale, Re Torrione della Neviera.Il nostro re, con procedura alquanto insolita, faceva di persona gli onori di casa ai viandanti che attraversavano il suo regno diretti alla cima del Sirente. Ostentando la forma turrita (un po' tozza in realtà), Re Torrione si presentava vantando le nobili origini che lo distinguevano dalle rocce di bassa lega accalcate intorno alla Neviera. - Dove andate? - diceva poi ai passanti - Non vale la pena di seguire quel sentiero, non c'è niente d'interessante da quella parte. Salite da me piuttosto, potrete arrampicare! Guardate che fessure eleganti e che vetta dalla spiccata individualità! –

 

Ogni tanto tra i pellegrini di passaggio ce n'era qualcuno sensibile alla parola magica ‘arrampicare’ che si fermava a scrutare il torrione. Non ci voleva molto però a capire che, a dispetto della figura invitante, la sostanza era la stessa delle altre pareti: un calcare bianco e friabile che oltretutto, mentre il Re pronunciava i suoi discorsi, lo smentiva a chiari gesti lasciando intendere di non voler essere neanche sfiorato. I viandanti se ne andavano ridacchiando, ma Re Torrione, che non sospettava minimamente di essere messo in ridicolo dalla sua stessa roccia, continuava senza scomporsi a porgere i suoi inviti.

 

Un giorno, esasperato dalla, a parer suo, incomprensibile indifferenza mostrata nei suoi regali confronti, stolido com'era se la prese col figliolo, Principe Pilastro, reo di essere argenteo e compatto, evidentemente diverso da lui e quindi indubbia causa dei suoi insuccessi. Decise perciò di punirlo relegandolo in un angoletto seminascosto ai confini del suo regno, sicuro tra l'altro che così facendo avrebbe reso ancor più evidenti le rotte fessure di cui andava tanto orgoglioso. E così fu.

 

Qualche tempo dopo caso volle che passassero di là alcuni bambini in cerca d'avventure e luoghi misteriosi e per loro fu facile indovinare il posto dove era segregato il Principe Pilastro. Senza farsi scoprire lo liberarono dalla solitudine e divennero grandi amici.Ancora oggi, mentre il Principe gioca all'arrampicata con i suoi nuovi compagni, Re Torrione ignaro si ostina a lanciare i suoi vani richiami.

 

Nota storica*

Arrampicare alla Neviera e Monte di Canale

Sebbene si sospetti l'esistenza di qualche vecchia via, le prime notizie sicure di arrampicate effettuate in questo settore del Sirente risalgono solo al 1979, anno in cui Armando Baiocco ed Ettore Pallante realizzarono la via dei Vecchiacci allo Sperone Centrale. Dopo di loro pochi altri si sono dedicati all'esplorazione alpinistica di queste pur evidenti strutture. L'Altare della Neviera viene salito nell'84 da Manilio Prignano, Stefano Cottarelli e Vincenzo Ricciotti per lo spigolo Nord, quasi un pilastro a parte. Nel ‘92 tornano Baiocco e Pallante per salire la cresta Nord dello sperone di Monte di Canale mentre, sulla stessa montagna, la Pala deve attendere fino al 1994 perché qualcuno (sempre Baiocco con Moreno Cecconi) trovi il coraggio e la giusta determinazione per affrontare e risolvere il suo evidente spigolo Nord.

 

Nel corso dello stesso anno Giancarlo Guzzardi, Enzo Paolini, Giulio Scalzitti e altri alpinisti di Sulmona, protagonisti su queste montagne di una cospicua attività invernale, tracciano altre due brevi vie sulle rocce di Monte di Canale ed una sull'Altare della Neviera. Prignano e Paolini si rifanno vivi nel ‘96 salendo il Pilastro dell'Indio, un evidente sperone del Peschio Pedone, mentre Guzzardi e Scalzitti, ad inverno iniziato, scalano il Pilastro dei Peligni al Peschio Gaetano. Il ‘99 vede ancora in azione Prignano e Paolini, che prendono di mira il settore compreso tra la Valle dello Scurribile e la Val Lupara effettuando la prima salita della parete Nord-Est di Quota 2277, per il pilastro centrale. Gli stessi si ripetono nell'estate 2000 salendo la cresta Est della medesima struttura e, in compagnia di Gaia Prignano e Valerio Paolini, la cresta Nord di Quota 1995, sempre nello stesso settore.

 

A dispetto della loro logicità però, della dozzina di vie aperte finora su queste pareti, solo poche sono consigliabili. Le altre presentano tutte tratti, anche lunghi, di roccia friabile o instabile e ciò spiega chiaramente il perché della scarsa frequentazione di queste strutture. Ciononostante una giornata d'arrampicata nel silenzio di questi valloni ha un fascino innegabile (d'altri tempi, forse..). Nel caso decideste di provarlo, portate qualche chiodo, dadi o friend (specie di misura media), anelli di fettuccia anche grandi e soprattutto non dimenticate il casco!

Ricordiamo infine che la storia alpinistica del Sirente è trattata in modo esauriente in Appennino d'inverno di Vincenzo Abbate (Andromeda Editrice, 1995).

 

*questo paragrafo, coerentemente con la stagione cui fa riferimento il resto dell'articolo, è dedicato esclusivamente all'arrampicata estiva su roccia.

 

Manilio Prignano

pubblicato sul blog Intraisass - 2000

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