top of page

 

L'anima del Sirente

 

L'anima del Sirente appare tanto chiara e nitida quando più si è “dentro” la grande parete, magari a risalire i ripidi colatoi o a traversare esili cenge ad evitare impossibili e lisci torrioni. Sei assorbito completamente dall'ambiente che è solenne e silenzioso, disturbato solo dal volteggiare circolare e ripetuto di imponenti grifoni. In un posto dove è chiaro che tu sei solo un piccolo e insignificante ospite di passaggio.

 

A causa della relativa inaccessibilità e arditezza dei suoi versanti, la cima del Tempio è rimasta vergine fino alla nostra salita. Come a rappresentare l'ultimo baluardo segreto del Dio Sirente, la sua cima, come anche la sua parete Nord, non aveva infatti mai visto la presenza umana. Nonostante la nostra caparbietà, la sua parete nord non si è concessa tanto facilmente, sono stati infatti necessari ben tre tentativi per calcarne la cima.

 

Ricordo benissimo come al primo tentativo la sola presenza e imponenza delle verticali rocce sono bastate per cancellare ogni nostra velleità alpinistica. Dopo il facile primo tiro, peraltro già più volte salito perché in comune con la storica via dell'Imbuto, la sola visione della “vera” parete ci intimorisce, e presto rinunciamo. Ma non vogliamo tornare a casa a mani vuote, almeno la cima, almeno quella vogliamo toccarla. Dopo quasi un'ora a tergiversare e a capire il da farsi, tagliamo la cengia verso destra per cercare rocce più abbordabili. La parete W pare più umana, ma dopo due bei tiri di corda, l'ora tarda e l'incognita di quanto manca per la cima, e di come si scendesse da questa, non ce la sentiamo di proseguire, buttiamo giù le doppie e torniamo a casa. La dimora del Dio Sirente è ancora salva, la divinità intatta.

 

Già nel viaggio di ritorno la sua mistica presenza va scemando e in noi riviene la voglia di tornare alla carica. Sono passati appena cinque giorni che siamo di nuovo sotto la sua dimora. Stavolta siamo in tre, si è aggiunto Domenico, un giovanissimo e promettente alpinista aquilano che doveva essere dei nostri già nel primo tentativo. Non ci conosciamo che per soli contatti telefonici o virtuali (mail o internet) ma sento che la sua visione della montagna collima esattamente con la nostra, sento che andremo d'accordo, sono certo che la sua presenza sarà determinante.

 

La divinità cerca in tutti i modi di intralciare il nostro cammino, ci fa sbagliare strada, tenta di farci perdere negli intricati e fitti boschi delle sue pendici. Anche se più stanchi e sudati del precedente tentativo, arriviamo all'attacco della via. Stavolta mi sento carico e pronto per attaccare la fessura svasa che rappresenta l'inizio della lunga e verticale placconata basale del Tempio. Ho con me tutto l'occorrente e sono molto motivato, ma dopo neanche 20 metri mi devo arrendere, sono già stanco, inoltre non riesco a proteggermi per proseguire: mi occorre assolutamente uno di quei maledetti chiodi a lama che Stefano non ha fatto in tempo a comperare.

 

Quei chiodi sono gli unici che possono riuscire ad entrare in quelle maledette e cieche fessure. Dopo svariati tentativi di metterne decentemente uno universale, stremato, lascio il comando a Domenico. Da subito lui ha un'altra marcia, è giovane e soprattutto forte: riesce a salire spalmando i piedi sulle compatte placche tenendo buchi e buchetti, stringendo prese bordate di fango perché parzialmente ripulite dalle toppe d'erba. Anche lui però deve lottare non poco per finire il tiro (fino al VII), impiegando oltre due ore per giungere in sosta. Sul tiro successivo Domenico più volte sta quasi per volare, scala al proprio limite e gli sono necessarie altre 2 ore prima di trovare un punto decente per far sosta. Non c'è più tempo per noi, gli urliamo di scendere. Arriveremo in macchina che è buio ma con la promessa di ritornare prima che il clima diventi davvero autunnale.

 

Il 28 settembre siamo di nuovo sotto la parete. Stavolta Stefano non c'è e al suo posto viene Gabriele. Il padrone del Tempio capisce che oggi il trio potrebbe raggiungere la cima: non sa come ostacolarci, l'unica cosa che gli riesce di fare è impedire che qualcuno immortali con una foto la sua divina dimora. Ci troviamo così senza macchinetta al seguito a provare a terminare la via. In circa tre ore raggiungiamo il punto massimo della volta scorsa, poi tocca a me attaccare l'ultimo tiro della grande placca. Dopo un bel traverso fessurato e un duro ristabilimento (VI+), mi trovo sulla cengia mediana. Mezza parete è fatta! Al Gab tocca l'atletico e lungo tiro successivo, mentre Domenico prosegue fino a 25 metri dalla cima, lasciando a me il compito e l'onore di toccare l'inviolata vetta. Qualche foto siamo riusciti scattare con il telefonino del Gab, ma giunti in vetta questo si scarica completamente, come a voler adempiere all'ultimo il volere del Dio Sirente.

 

Ci abbracciamo felici, attimi di pura gioia che rimarranno impressi nella mente anche senza che vi sia alcuna documentazione fotografica. Ora manca la libera... Caro Tempio, l'estate prossima torneremo a farti visita!

 

Cristiano Iurisci

pubblicato sul blog PlanetMountain - 8 ottobre 2012

bottom of page